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nell’ingranaggio 11


«Improvvisamente vedo una giovine signora, alta, snella, tutta ravvolta in una pelliccia senza maniche, ch’ella teneva stretta con una bella manina inguantata. Un cappello nero a larghe tese, incorniciava il suo viso soavemente bello, dolcissimo. Mi fece una impressione singolare. Mi ricordò una gita fatta con le compagne del primo collegio in cui sono stata, tanti anni fa, a Sestri, durante la stagione dei bagni. Venivamo per una via stretta, serrata da monti, camminando su sassi duri, taglienti, che facevano male ai piedi e agli stivalini. Avevamo caldo, eravamo stanche e si cominciava a perdere l’allegria. Io mi sentivo soffocare. Quando, un soffio fresco, profumate, ci fece alzare il capo e uscire dal labbro una esclamazione di gioja.

«La marina coi suoi fremiti dolci, colla sua brezza sottile, col suo odore acuto, ci stava davanti; era il cielo aperto dinanzi a noi...

«A tutto questo pensai vedendo quella signora...»

Qui la lettura fu ancora sospesa; ma ella sorrideva alla visione di quel quadro, e chinava la testina immersa in un sentimento pieno di tenerezza.

Il libro s’era chiuso. Lo riaperse a caso e lesse ancora:

28 gennaio 1880.

«Mi sento tanto triste stasera che non posso a meno di confidare al mio giornaletto la malinconia del mio cuore. Presentimenti foschi, neri, mi turbano. Non ballo più in ricreazione; non voglio nè recitare, nè ballare in carnevale.