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156 nell’ingranaggio


Fra queste due infermità della loro vita, questi giovanotti, spesso canuti, sentivano l’imperioso bisogno di mettere qualche cosa di gajo: un sorriso di donna, una visione della vita elegante, una mezz’ora di conversazione in un salotto signorile o almeno per bene; o qualche cosa di tenero e d’affettuoso; una scena di famiglia, una stretta di mano delicatamente sensuale, un fruscìo di sottana, uno sfregamento di abito di seta contro le loro vesti di panno.

Più tardi, l’inevitabile bicchierino di vermuth cancellava i sogni e i languori, e eccitava lo stomaco a compiere le sue funzioni animali.

Arrivarono insieme: Michele Krauschnitz, l’avvocato Blendano, l’ingegner Santini, Vittorio Balestrieri, Giulietto Pezzi, Calderini e Usiglio, un gruppo di giornalisti. E subito dopo, attillato e rigido, il consiglier comunale Attilio Ferri, con i suoi capelli arricciati dal parrucchiere e la posa romantica di un falso Antony.

Presentarono i loro omaggi alla padrona di casa, poi ad alcune altre dame che le stavano intorno, e quindi cercarono il Banchiere; alcuni, come Santini, Blendano, Ferri, che lo avevano veduto anche il giorno prima, semplicemente per dargli una stretta di mano; gli altri per rallegrarsi e congratularsi con lui.

Ma poco dopo tornarono presso a Edvige, dove furono accolti, ciascuno secondo i loro meriti e il grado di intimità; il giovane Blendano e il poetino tedesco, per esempio, con quella cortesia famigliare, che lusinga gl’ingenui, mentre, dalla parte di certe donne, non significa proprio nulla.

L’ingegnere Santini, compassato e importante