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nell’ingranaggio 13

benissimo con una voce morbida, appassionata, e non faceva mistero di avere «calcato le scene» — era la sua frase — prima di sposare il Banchiere.

La sera ricevevano molte persone. Il sabato sera specialmente gl’invitati venivano fin da Milano e ripartivano la domenica. Alloggiavano al grande albergo del Lago, a un chilometro dalla villa.

Qualche sera, quando il Banchiere poteva accompagnarle, andavano anche loro alla riva, e si fermavano nelle sale dell’albergo, che insieme alla terrazza e al giardino erano aperte alla conversazione.

Gilda si divertiva. Respirava a pieni polmoni quella vita elegante, divagata, oziosa. E diventava più bella, più donna.

Dopo un mese pareva quasi cresciuta di alcuni centimetri.

Una mattina verso la metà del secondo mese, il Banchiere che si era fermato tutta una settimana a Milano, avendola veduta in giardino con Lea, le andò incontro, le sbarrò il passo gravemente e le disse netto in viso:

— Signorina, lei mi diventa troppo bella.

Poi tirò via diritto come se non avesse avuto altro a dirle.

Ella rimase un po’ sconcertata da quella strana maniera di fare dei complimenti.

Ma non fiatò con nessuno.

A tavola egli la guardò due o tre volte con quei suoi occhi grigi e freddi, che le penetravano il cervello, come due sottilissime punte d’acciajo.

Erano di quelle occhiate che spogliano una donna, e a lei facevano un’impressione penosa, mista di soggezione e inquietudine.