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nell’ingranaggio 185

sorta, con un braccio appoggiato alla spalliera del letto e la festa appoggiata al braccio, fece per andarsene. La ragazza la richiamò.

— Ma... come si è fatto questo matrimonio? chiese rialzando la testa.

— Precisamente non lo sa nessuno, — rispose la Sabina, che quella sera era disposta a dire la verità. — Io mi ricordo di questa cantante forestiera, che faceva furore al teatro Carcano, nel sessantotto o nel sessantanove, salvo errore. Ci sono stata una volta. Mi pare che facessero la Marta, un’opera tedesca o inglese, che so; nessuna opera grande certo. Il padroncino ci andava tutte le sere. Poi cominciò a accompagnarla da per tutto. Infine un giorno vi fu una gran disputa fra padre e figlio, perchè questo aveva dichiarato che voleva sposarla. Il vecchio prima gli rise in faccia, poi lo minacciò. Il padroncino parti dopo pochi giorni, dichiarando che andava a cercarsi lavoro all’estero. Egli aveva allora da venticinque a ventisei anni, e era entrato in possesso della eredita di sua madre. Stette via due anni. Intanto si seppe che si erano sposati. Il vecchio era furibondo. Qualche volta però mi diceva che quel matrimonio non contava un bel nulla. Che poteva sciogliersi quando uno voleva. Poi mi spiegava che il signor Giovanni aveva preso domicilio in una città della Russia, dove la diva s’era incontrata nel suo vero genitore «uno zingaro!» esclamava il signor Angelo diventando tutto rosso, e che là quell’imbecille del suo figliuolo — lui diceva proprio imbecille — si era lasciato ingarbugliare e l’aveva sposata. «Come se ci fosse stato bisogno!» masticava fra i denti. Poi, quando si