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nell’ingranaggio 211

insultarli quei due amanti ancora incolpevoli, coprirli di vergogna. Nell’uscire si vide dinanzi il domestico e per poco non le sfuggi un grido. Allora si ricordò che Marco passava la notte là, nella piccola anticamera, sull’uscio del suo padrone, pronto al più piccolo cenno della giovine infermiera. Prima ella non l’aveva visto perchè si era buttato un momento sulla sua branda; ma lui si aveva veduto lei, e si era fatto un obbligo di sorvegliarla dalla soglia. Ella si allontanò volgendogli un’occhiata sprezzante. Era furiosa di essersi lasciata sorprendere così da un servo. Ma nel medesimo tempo potè formulare un pensiero che la compensò della sua malavventura: vale a dire, che soltanto la presenza di un terzo rendesse Gilda così riservata e corretta.

Ma il conforto che viene dalla malignità è passeggero.

Non era gelosa, no: quella specie d’idillio fra un uomo di trentott’anni e una giovine di venti alla lunga, la stomacava. Potevano essere più ridicoli?... Suo marito, il banchiere Pianosi, un gaudente se ce n’era, un sibarita finito, che ora si metteva a fare il poetico, l’amante ideale!

Roba da sbattezzarsi. Sarà stata la malattia, il disordine nervoso, di cui parlava il dottorino Rambaldi? chi sa!

E rideva di un cattivo riso che le faceva fare una brutta faccia stirata.

Non era gelosa, no: ma sentiva troppo il bisogno di ripeterselo e involontariamente se ne allarmava.

Di rimbalzo il suo pensiero ritornava verso Paolo Anselmi.