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nella sua vita la inevitabile, la insistente puntura di spillo del destino tormentatore.

Ella cominciava a trovare una vera consolazione in questi bei sogni ambiziosi, allorchè il Commendatore la turbò un giorno, raccontandole che la banca Pianosi e compagni faceva mettere all’asta i mobili dell’avvocato Anselmi. A tale notizia, ella si sentì tutta rimescolare.

Tacque un momento, poi osservò che le pareva una cosa poco opportuna, una piccineria.

Ma il Commendatore protestò. I mobili dell’Avvocato rappresentavano un capitale di oltre trentamila lire, e questa non era somma da disprezzarsi, tanto più che, non ostante il ricupero degl’ingenti capitali che l’Avvocato aveva riscosso la vigilia della sua fuga, con l’ajuto del suo complice, da alcuni dei principali clienti e mediante vendite clandestine, la banca, rifatti i conti, rimaneva allo scoperto di ben duecentomila lire verso quel signore; e le trentamila lire dei mobili rappresentavano circa un sesto della perdita patita: non era da disprezzarsi!

Edvige non replicò. Che poteva ella dire davanti a queste inesorabili cifre? Nulla. Ma il suo cuore era straziato dall’idea che quei mobili, testimoni discreti di tante gioje, di tante lagrime, di tanta parte della sua vita, sarebbero stati venduti ad un’asta pubblica.

Dacchè aveva ricevuta questa notizia, l’immagine di Paolo le tornava dinanzi con più insistenza. Lo rivedeva come nell’ultimo giorno, col viso pallido, gli occhi arsi dalla febbre, la voce tremante, come nel momento in cui le aveva fatto quell’ultima proposta di fuggire insieme. Che ne