Pagina:Speraz - Nell'ingranaggio.pdf/228

Da Wikisource.
224 nell’ingranaggio


— Tu dici di no?! Ah! ti capisco, hai ragione: non hai più fede nella mia energia. Pensi che sono un cuore debole, schiavo della società, incapace di renderti felice, di metterti al posto che ti spetta, e te ne vuoi andare!... È giusto, me lo sono meritato.

— Mi fai male a parlare così Giovanni: mi fai soffrire tanto di più e inutilmente. Io non ti abbandono, Giovanni: non posso più abbandonarti. Vado via di questa casa; ma... resto a Milano. Mi verrai a trovare... da qui a due settimane, tre al più, sarai perfettamente rimesso, l’ha detto il dottore; potrai uscire.

— Sarà una viltà da parte mia; e a poco a poco tu te ne persuaderai e cesserai di amarmi. Ma ti pare possibile? Tenermi in casa la donna che mi ha tradito, che non mi ha mai amato e lasciarti andare, te, angelo mio, te che hai tutto sacrificato al mio amore, che mi ami, come non avevo mai creduto che una donna potesse amare?! È tanto stupido e abbietto, che non si capisce. E io devo essere così stupido e così abbietto?...

— Senti, Giovanni — disse Gilda dopo un momento di silenzio; — io ho pensato molto in questi due mesi, mentre ti vegliavo; nelle lunghe ore della notte, mentre non potevo dormire, nelle lunghe ore del giorno, mentre sentivo il rumore della vita di fuori, e la Sabina e il Dottore mi raccontavano fatti, mi ripetevano discorsi e tu eri là oppresso dalla malattia, vinto dalle angosce che ti avevano lacerato, dai combattimenti interni che avevano consumato le tue forze. Ho pensato alla vita, su cui mi ero fatta delle idee assurde: ho pensato alle cose di questo mondo, così strane e