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sona che sarebbe venuta ad occuparla, combinarono la cosa per 40 lire.

Il mobilio aveva la solita impronta di decenza stentata. Nella prima c’era un vecchio letto di noce ridotto a ottomana, l’eterno mobile milanese, per rispondere al desiderio delle persone che, prendendo una sola stanza, vogliono farla servire a due usi: salotto di giorno, camera nella notte. I guanciali di questa ottomana sgangherata erano rivestiti di un damasco rosso, rilavato parecchie volte.

Ma sul materasso a libro che fa da schienale era distesa una bella coperta all’agotorto molto trasparente, fatta col cotone greggio. Davanti a questo mobile d’onore dove si poteva sedere comodamente in sei, era un tavolino rotondo di legno lucido, con un piede solo, ma sensibilmente inclinato da una parte. Fra le due finestre un armadio da abiti con lo specchio di tre pezzi, per cui Gilda, che era alta, non poteva guardatisi senza che un taglio trasversale le dividesse là faccia in una maniera molto burlesca.

Di fronte all’ottomana, un camino con paracamino di carta gialla molto stridente e nel mezzo ingommata su per nascondere uno strappo, una stampa rappresentante il Bacio dell’Hayez. Sopra il caminetto, un largo specchio basso, incrostato nel muro e tutto annerito dal tempo. Una poltroncina da lavoro rivestita di lana celeste con la solita copertina all’agotorto, un tavolino da lavoro, e cinque sedie rosse come l’ottomana completavano l’arredamento.

La seconda camera era stretta e lunga con un lettino di ferro in fondo, senza parato, e tutto