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nell’ingranaggio 245

zione, nella quale una donna poteva diventare ricca, essere festeggiata, essere indipendente, senza perdere la considerazione della società: rimanendo una persona: talvolta anche riconquistando una personalità già perduta; riabilitandosi in tutto.

Poi, se la fortuna arrideva, se il genio si risvegliava nei loro cervelli, esse sapevano di poter aspirare a tutte le altezze.

E tutte credevano con fede incrollabile nel loro ingegno, nelle loro attitudini; tutte speravano nel possibile risveglio di un genio profondamente nascosto in qualche parte del loro organismo: perfino quella infelice Rumena, dal viso di serva, dalla voce fessa, che spendeva un patrimonio nelle sue lezioni di canto, senza ottenere il più piccolo risultato: perfino quella povera baronessa Tekel, che forse sperava di sottrarsi, con un bel successo artistico, alla tirannide del suo finto zio, mentre empiva la casa di urli angoscianti, sotto forma di solfeggi.

E chi sa quante ve n’erano di egualmente illuse, di egualmente infelici, sparse per gli alberghi, per le pensioni, per le camere ammobiliate, Tutte fatalmente condannate a una rapida decadenza, se un caso fortuito, un miracolo d’amore, a tempo, non le salvava! Le pareva di vedere questo esercito di femmine, affamate di lusso e di celebrità, vestite sfarzosamente o stentatamente rimpannucciate: il viso dipinto, gli occhi febbrili, dentro la cerchia nera, segnata col lapis misterioso, correre ansiosamente per le agenzie, stringere amicizie forzate con gli agenti teatrali, e scendere irreparabilmente di miseria in miseria