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248 nell’ingranaggio

musicale. La Neotieff cantava il suo pezzo capitale, l’aria di Romeo alla tomba di Giulietta, per un agente teatrale che sperava di collocarla. La Rumena, che si credeva in possesso di una grande agilità, pretendeva cantare il famoso valzer dell’ombra, nella Dinorah: la Tekel calunniava Marchetti urlando la ballata del topo: tutte e due lusingandosi di attirare l’attenzione del medesimo agente.

Dalla finestra aperta, attraversando la corte, giungevano le note aspre di una voce baritonale e quelle stridule di un violino.

Ma le campane di San Carlo, lanciate arditamente nell’aria, in alto, sul tetto della casa, proruppero improvvisamente con un fragore enorme che sommerse tutti gli altri rumori, in un concento formidabile, ruggente di collera, vibrante di letizia.


Il giorno dopo ritornando dall’aver discorso con Villa del Ferro e firmata la sua scrittura, Gilda trovò Giovanni che l’aspettava.

Questa bella sorpresa cancellò tutte le tristezze di quei giorni, mise in fuga le immagini penose. Giovanni era completamente ristabilito: il suo amore le pareva più intenso, più esuberante.

Voleva sapere tutto quello che aveva fatto e pensato in quei giorni; s’irritava di trovarla in un ambiente così poco simpatico: si metteva in ginocchio ai suoi piedi per domandarle perdono di tutte le sofferenze che le cagionava.

Egli, in compenso, le chiedeva una grazia, una grazia suprema, che ella non gli poteva negare. Il suo bravo medico gli aveva ordinato di andare a terminare la sua convalescenza a Aix-les-bains in Savoja; bisognava ch’ella lo accompagnasse.