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commedia, discorrendo animatamente, fumando, ridendo.

Alcuni arrivavano lentamente, a due. a tre, scendevano i gradini dell’atrio, si fermavano alla porta della platea, guardavano il teatro, cercavano qualche conoscenza, poi, sempre adagino, con tutto il comodo andavano ai loro posti, riattaccando i dialoghi momentaneamente interrotti.

In generale questi spettatori poco affrettati e meno attenti appartenevano alla finanza alta e bassa e all’alto commercio.

Tutta gente ben fornita di danari e abituata a spendere senza contare per i loro divertimenti. Ma qua e là appariva pure la faccia nota di qualche avvocato di grido, di qualche uomo pubblico, oppure il profilo arguto di qualche artista, di qualche letterato. I pochi patrizi e quelli che accompagnavano delle signore andavano direttamente ai loro posti, col fare un po’ rigido, un po’ compassato.

La maggior parte si conoscevano, si salutavano, scambiavano un sorriso, un motto, secondo il grado di confidenza.

Di tratto in tratto, arrivava un pezzo grosso, una testa canuta, una palla di bigliardo. Vedendoli passare, i giovani se l’additavano con una strizzatina d’occhi, la quale voleva dire: anche loro!

Verso la fine della prima commedia arrivarono insieme: il banchiere Pisano, il banchiere Wellison e il conte e banchiere Ceriani, col suo riso bonario, gli occhietti pieni di malizia. Subito dopo, discorrendo con un alto impiegato di Prefettura, il commendatore Belise, con la sua chioma e la