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nell’ingranaggio 285

della serata le si riaffacciarono. Rivide il pubblico curioso prima, plaudente poi; rivide le amiche, i conoscenti, quella strana vita del palcoscenico, sè stessa nel momento in cui si era messa a cantare e aveva dimenticato tutto il mondo esteriore.

Se tutto ciò fosse arrivato prima, chi sa che piacere le avrebbe fatto! Ora, niente. Ora, non aveva che amarezze nel cuore.

Se pure avesse potuto illudersi un istante, rallegrarsi, Mistress Thionny era giunta in tempo per impedirlo, per ridarle subito il sentimento pungente del suo stato reale; il sentimento sempre più distinto e pauroso della decadenza. Come aveva mentito! Come la menzogna si era fatta tenue e leggiera per insinuarsi sulle sue labbra!

Mentire. Era questa la legge: mentire sempre. Invano, ella si era messa deliberatamente in una posizione sociale delle più libere dal convenzionale dovere.

Ora capiva il suo inganno: la necessità della menzogna si attaccava a tutte le posizioni: se non si mentiva per noi, bisognava mentire per gli altri: per risparmiare un dispiacere a quelli che ci amavano. Questa volta aveva mentito delicatamente, paurosamente, perchè il suo cuore non aveva potuto resistere al pensiero di affliggere quella buona amica e di perdere la sua stima.

Ma forse non era lontano il tempo in cui avrebbe mentito sfacciatamente o tranquillamente, con la piena convinzione di esercitare un diritto, di valersi di un’arma di difesa; o con la coscienza di far bene.