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cupi dei maschi: e le guance rosse, gli occhi sfavillanti, i capelli biondi, neri, castani, davano al bellissimo quadro una luce, una festosità affascinante.

Verso le quattro, quando erano già accese le lampade, cominciarono ad arrivare i signori.

Giovanni, che era stato da Gilda, aveva un pensiero triste negli occhi, e nel cuore un senso di uggia. Era sempre così quando rientrava in casa sua; quantunque poi gli passasse.

Stava meglio a Roma: là nulla gli rammentava il passato, nè la sua! situazione presente: là, quando si sprofondava nel lavoro riesciva a dimenticare tutto il resto, completamente. E quando Gilda gli scriveva a Roma, provava una vera gioja; chè, se la lettera era triste, scusava meglio la sua tristezza, e poi la dimenticava; mentre a Milano, quando si vedevano, la sua felicità era sempre conturbata da un pensiero penoso: dalla malinconia che ella non riesciva a vincere e di cui lui non osava più domandarle la causa, per paura di vederla piangere: da un senso di disagio che si metteva fra loro due e che tutti e due cercavano di nascondere. Povera Gilda! gli faceva pietà; ma che poteva fare? Oramai il male era irreparabile. Ella soffriva, e avrebbe sofferto chi sa fino a quando, perchè, pur troppo, lui non poteva più cambiare la situazione 1 In tale stato sentendo il fastidio della propria debolezza, egli s’irritava ch’ella soffrisse: gliene faceva quasi rimprovero. Subito dopo, però, riconosceva la sua ingiustizia. Ma queste lotte alla lunga lo sfibravano, lo rendevano inetto al lavoro: e lui aveva sempre, anzi forse ora più che mai, per la farraggine di affari