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nell’ingranaggio 301


— Troppo poco — disse l’altra — specialmente alla vostra età.

— Ho, quanto a me — esclamò Edvige con l’aria ipocrita che hanno certe donne quando dicono certe cose — credi che mi sento proprio vecchia, finita, to’.

— Ma lui, no — osservò donna Violante.

— Oh! gli uomini, sai bene, loro amano sempre d’illudersi.

— Eh, lo so, lo so. Figurati che quel mio testone.... — non è venuto ancora — disse interrompendosi per dare un’occhiata in giro — quell’uomo di gran talento, quel filosofo moralista, è tutto preso d’ammirazione (dico ammirazione per non dire peggio) per quella pettegola di Gilda, dacchè l’ha sentita cantare. Un ingegno, dice, un sentimento, un’anima! Una seconda Patti, ecco, dico io. Ma lui risponde che la Patti è una grande artista, grandissima, ma che forse non ha l’anima di Gilda: anzi mi pare che abbia detto, certo, non forse. E, sai? va tutte le sere al Milanese! Edvige non poteva tenersi dal ridere.

— Come te la prendi calda — osservò.

Ma donna Violante protestò che non era tanto per gelosia, che già, oramai, anche lui aveva poco da ridere, ma perchè le faceva rabbia di sentire un uomo serio dire quelle sciocchezze.

— Davanti alla femmina non ci sono uomini serii, — sentenziò Edvige.

Sarà benissimo, ma io non la mando giù con tanta tranquillità.

— E cosa vuoi tare? Tanto, noi donne siamo sempre infelici! Il meglio che possiamo fare è di essere rassegnate.