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316 nell’ingranaggio

la locomotiva mandava i suoi fischi più sibilanti. Ma Giovanni si spenzolava a salutare gli amici e ella potè ancora vederlo. Dopo si rannicchiò nel suo angolo e rimase inerte.

Il treno partì gemendo e scrosciando sotto all’impulso irresistibile.

Un momento dopo, una corrente d’aria gelida annunziò che il mostro usciva dall’abitato e andava a interrompere il sonno profondo della campagna.

Gilda sentì vicino a sè un doppio lamento. Erano due signore forestiere che si lagnavano di quel gran freddo.

Ella chiuse il finestrino, e tornò a rannicchiarsi nel suo cantuccio, guardando traverso i vetri, i poveri alberi nudi, dai rami troncati, protesi, imploranti, fuggire e fuggire nella profondità della notte, nella desolazione della campagna invernale.

Quell’inazione del proprio corpo in mezzo al movimento vertiginoso di cui sentiva il rombo e vedeva il riflesso, le diede un senso strano e rapido della sospensione della vita. Le parve di essere lontana dal mondo, al di là della meta fatale, libera d’ogni preoccupazione, d’ogni desiderio, nella fantastica immensità della morte. Sul suo capo brillavano le stelle, e ella viaggiava nell’aria senza fatica e senza rimpianti per la vita. Ma un sussulto improvviso del cuore, uno spasimo dei nervi, fugarono la visione ideale. Ella ricadde nella sua pena; sentì ancora quanto fosse violento, quanto fosse crudele il distacco eterno a cui si preparava.

Egli era là, a poca distanza, in quel medesimo treno fuggente nella notte, era là, con Lea, con