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nell’ingranaggio 37


l’aveva mai offesa. Gli era grata, oh! infinitamente grata per quell’attestato di stima, ma le bastava: non chiedeva altro; era molto più di quanto aveva sperato.

E lei stessa, senza accorgersi, diventava a poco a poco eloquente, e diceva molto più di quello che avrebbe voluto. Lui, guardandola estatico, beveva le sue parole.

Ma Lea aveva sonno. In piedi, con la testina appoggiata al braccio sinistro del babbo, cominciava a piagnucolare.

— Mi lasci andare — disse Gilda improvvisamente, mutando voce sotto la pressione della mano, ch’egli aveva posata sulla sua spalla.

La bimba ha sonno, ci lasci andare.

Pareva concitata.

Egli ritirò la mano e le porse la bimba, eh ella prese fra le sue braccia.

— Non ho nessuna cattiva intenzione — le susurrò in tono umile e dimesso: — stia sicura; mi è sacra come una sorella: la stimo tanto! E perchè le mie parole di poco fa non le sembrino strane, le dirò che ho notate le persecuzioni di quel bel signorino, e che se continua, saprò metterlo a posto!...

Rievocando queste immagini la sua voce era tornata vibrante: vi si sentiva la collera repressa.

Ella credette necessario di tranquillarlo.

— Oh! per me, Signore — disse col suo bel sorriso di fanciulla spensierata e animosa non c’è proprio di che allarmarsi a questo proposito; quel signorino a cui ella allude, mi pare un po’ vanesio, e punto pericoloso!

I suoi occhi lampeggiarono e parve che dices-