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nell’ingranaggio 43


— Mentite! lo interruppe Edvige... — o dimenticate, ch’io ignoravo affatto il vostro basso intrigo...

L’Avvocatino impallidì sotto questo insulto e fece un gesto minaccioso.

Ella tacque un momento, poi riprese:

— Ignoravo tutto, voi lo sapete bene: avevo respinto con indignazione le proposizioni di suo marito, e non credevo che il mio dovere m’imponesse altro. Quando seppi, e fu quella mattina in cui ella c’incontrò insieme, perchè capii dai suoi rimproveri e dalle vostre risposte di quale natura fosse l’amicizia che vi legava a lei — ebbi orrore di me e di voi; avrei voluto fuggire;ma era troppo tardi, e voi vi siete opposto...

— .... Lo so! Avevo vent’anni e la vita mi pareva facile! Con la laurea di avvocato e per di più il mio talento musicale, mi figuravo che i milioni dovessero piovere nella mia testa. Che cosa perdevo infine? La protezione del Marchese. Bella roba! lo contavo sulla protezione di un mecenate molto più generoso e ricco: il pubblico: io pensavo che il mio genio mi avrebbe aperte tutte le porte del palazzo incantato. E unito a una donna, a una artista della vostra tempra, la quale avrebbe interpretato i miei capolavori musicali, nutrita la mia fantasia, raddoppiate le mie forze, io mi sentivo un gigante, capace di legarmi la fortuna ai calcagni!... Invece m’ero legato alla mia rovina, facendo quasi la vostra. —

Non è forse facile immaginare quanta impotente collera, quanta amarezza velenosa e vero dolore insieme, traboccavano con queste parole dal cuore corroso dell’avvocato Anselmi. La stessa Edvige,