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64 nell’ingranaggio


Quella sera egli voleva misurarsi col professor Rachelli. Il giornalista stava a guardare.

L’Anselmi appoggiato al parapetto della terrazza lìniva di fumare il suo sigaro e guardava in alto. Un momento ella ebbe quasi paura ch’egli l’avesse indovinata dietro le persiane.

Un momento dopo ella vide apparire un’ombra nel vano luminoso della portiera: era Edvige. Con passo rapido varcò lo spazio che la separava dall’Anselmi, il quale stava sempre appoggiato al parapetto con la schiena arrovesciata, la faccia rivolta al cielo, come se avesse contemplate le stelle o cercato una ispirazione.

Quando gli fu vicino, la strana donna gli buttò le braccia al collo e abbandonò un momento la testa sopra il suo petto. Egli si lasciò abbracciare biascicando qualche parola, che Gilda non intese; poi, chinata la faccia sulla testa di colei, parve sfiorarla con le labbra.

— A voi, ora, difendetevi! — diceva la voce chiara e armoniosa del Banchiere, che probabilmente aveva fatta una eccellente mossa strategica sul suo scacchiere.

Edvige si staccò con un moto istantaneo dalle braccia dell’Avvocato, e rientrò subito in sala, parlando forte all’indirizzo dei giuocatori.

L’Anselmi gettò il mozzicone del sigaro oltre la ringhiera, e la segui, discorrendo e ridendo allo stesso modo.

Gilda chiuse del tutto le persiane, poi chiuse anche i vetri, per non sentir altro; e si ritirò dalla finestra.

Riaccese il lume. Era livida e barcollava. Si abbandonò sur una sedia in una spossatezza mortale.