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nell’ingranaggio 85


— Gente accolta nella migliore società; chè li riceverei io altrimenti? — disse Giovanni ridendo ironicamente.

Gilda, però, messa in curiosità voleva sapere qualche cosa di più preciso.

La signora Edvige prese la parola; ma suo marito la interruppe. Voleva raccontare lui.

Ecco, secondo lui, era una storia semplicissima, che diventava comica soltanto per l’intonazione dei personaggi.

La signora Clelia, la magra declamatrice, apparteneva a una buona famiglia di negozianti torinesi: a vent’anni aveva sposato il signor Pietro Bellieri, portandogli trecentomila lire di dote. In pochi anni la dote era sfumata, e con essa l’amore dello sposo, che s’era preso della signora Ersilia, giovine e bella cantante loro parente: l’altra vecchietta, taciturna, le cui forme appariscenti non erano ancora interamente distrutte.

La Clelia fu abbandonata e i due amanti andarono a vivere insieme continuando la carriera teatrale finchè l’Ersilia potò cantare e il sor Pietrino fare l’impresario coi danari di lei: una ventina d’anni circa.

Intanto la Clelia non aveva perduto il tempo; dopo molte avventure trovò un signore forestiero dal quale ebbe un figlio e — più tardi — l’eredità di mezzo milione, più un eccellente consiglio: quello di ritornare col marito e fare in modo che costui accettasse il figliuolo come suo legittime.

Pietrino accettò... naturalmente... danari e figliuolo. In compenso portò con sè anche l’Ersilia, che non poteva essere abbandonata sur una strada.