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92 nell’ingranaggio


Si erano levate in piedi tutte e due, fronte a fronte, con gli occhi fissi l’una nell’altra, la gola anelante, come due leonesse pronte ad azzannarsi.

Edvige, stretta nel lungo busto, incaricato di contenere l’incipiente pinguedine, soffocava. Il suo sangue irruente di zingara, in cui si accendevano le fiamme intense dell’ultima giovinezza, le gonfiava le vene, le imporporava il viso.

Coi pugni stretti, fece atto di gettarsi sulla rivale.

— Siete una bugiarda e una pazza! — le gridò sul viso.

Ma Gilda la fermò con un gesto glaciale:

— Lea ci guarda — disse — si calmi, Signora!

Lea guardava difatti, con i grandi occhi sorpresi e curiosi della donnina, che si risveglia, dal torpore infantile, alle prime scosse della vita.

Senza voltarsi, la signora Pianosi la vide nel grande specchio che ornava la parete di fronte.

Nel medesimo tempo vide tutta la scena, schiacciante per lei: prima Gilda, elegante e snella, le forme dalle curve fini, armoniose, gli occhi sfavillanti di baldanza giovanile, resa più bella dal vivo incarnato che le illuminava il viso; poi sè, deturpata dalla collera, che metteva in evidenza tutti i danni dell’età: la fronte, le guance, il collo violacei, gli occhi duri, metallici, la bocca stirata, il torso con le curve ardite dei fianchi, ancora scultorio, ma sostenuto da gambe troppo corte; privo di elasticità e di finezza, indurito dalla necessità di portare il busto eccessivamente stretto; c in fondo Lea, testimone e giudice, che forse aveva compreso troppo con la sua intelligenza indagatrice di bimba precoce.