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Poi apriva i cassetti, vi metteva le mani allungandole fino in fondo con un fare astratto, tirandone sempre qualche cencio, qualche gingillo, un brindello di stoffa, qualche brano di lettera; qua e là qualche accenno al principio di un idillio interrotto, di una visione di peccato, che avrebbe potuto interessarla, se in quel momento ella avesse avuto voglia di indagare gli affari delle altre, e se la partenza dal collegio non avesse come sospesa la sua responsabilità. Benefica sospensione, di cui le giovava approfittare completamente per rifarsi le forze.

Quando aveva ben frugato, sicura di non aver dimenticato nulla di ciò che cercava, s’abbandonava un momento con fare stanco e abbattuto, per riposarsi e fantasticare.

Si sentiva come più vicina a sè stessa, al suo passato, alle sue memorie, nella vasta solitudine silenziosa in cui si trovava improvvisamente come in un sogno. Da un pezzo non era stata così completamente padrona di sè. Ne provava un sollievo. Realmente, era sola nel mondo da molti anni. Ma la vita nella comunità ha questo di particolarmente increscioso, che l’anima vi si sente sola, senza la libertà della solitudine, senza il suo benefico raccoglimento.

Ora pensava con più abbandono; riandava sugli avvenimenti del passato; e le immagini l’assalivano a frotte. Le reminiscenze s’ingrossavano, si chiarivano; in quella penombra delle cose presenti, il suo cervello s’illuminava di una luce retrospettiva. Vedeva la sua vita svolgersi lentamente dinanzi ai suoi occhi, come una larga fascia dai toni sbiaditi e uniformi. Era proprio una esistenza monotona la sua, senza tempeste e senza sole; somigliava a un lungo autunno nebbioso.