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Involontariamente, ella pensò al tempo in cui quel palazzo non era ancora trasformato in collegio, ma abitato dalla nobile famiglia di cui portava tuttora il nome.

Le tappezzerie delle pareti, gli affreschi dei soffitti, i grandi specchi saldati nel muro, le statue innalzate sui loro piedestalli nel dolce riposo delle nicchie, tutto parlava dell’antica magnificenza e dell’uso cui quelle sale erano destinate.

A poco a poco la sua fantasia, eccitata dalla solitudine e dalla veglia, si popolò d’immagini fantastiche, e cercò di delineare a grandi tratti qualcuno dei quadri smaglianti e pieni di vita ch’erano stati chiusi in quelle cornici. Dalle ampie finestre, dagli splendidi affreschi, dalle ombre dei muri, uscivano voci che raccontavano di feste colossali, di banchetti, di avventure dolci e terribili. Chi sa quante coppie innamorate avevano sostato davanti a quel grande specchio, ora un po’ annerito! Chi sa quante belle ambiziose vi avevano ammirato il trionfo delle loro forme! Che cosa indefinibile è un ballo di signori!...

Ernestina, non aveva mai ballato; non sapeva ballare. Ma qualche volta, come spettatrice, aveva veduto, osservato e indovinato una quantità di cose. Si ricordava una certa coppia formata da due giovani, belli, che si tenevano stretti e volavano via come il vento. Ella aveva chiesto ingenuamente chi erano quei due sposi che si volevano tanto bene, e la gente intorno a lei s’era messa a ridere e a bisbigliare. Più tardi aveva saputo che non erano sposi, ma cugini, e che la signora era maritata con un altro e già madre.

Eppure, se certe cose non le avesse vedute, avrebbe potuto