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tutta la sua eloquenza naturale prorompeva in un inno all’amore, alla gioia di vivere. Un ottimismo intangibile si insinuava in tutti i suoi giudizi, in tutti i suoi pensieri. A poco, a poco Ernestina che non poteva seguirla su questo nuovo terreno, preferì il silenzio alle contestazioni, cui la sua fibra delicata non poteva reggere. E l’amicizia morì.

Eppure ora, ricontemplando quella fotografia, ch’ella credeva di avere dimenticata, si sentiva intenerire e penetrare come da un intendimento nuovo, che cancellava l’ultimo rimasuglio della sua collera.

— È giusto! — mormorò a fior di labbra: — se fossi amata anch’io! — E a questo pensiero, il cui fascino misterioso la investiva quasi improvvisamente, la commozione interna, ch’ella si forzava a frenare da tante ore, si manifestò finalmente in uno scoppio di lagrime.

Con la testa arrovesciata sulla poltrona, con le braccia penzoloni, provava la voluttà del piangere senza ritegno, tanto somigliante alla più acuta voluttà dell’amore.

— Amare! amare! — diceva con voce rotta in mezzo alle lagrime. — Avere una creatura che ci accarezzi, che ci compatisca!... Un bambino! Oh! se avessi almeno un bambino da stringermi al cuore!...

Quando finalmente si calmò, le sovvenne che alcuni momenti prima s’era sentita fiera della sua vita coraggiosa e solitaria, soddisfatta di essere sola e sterile, piuttosto che causa di dolore ad altri; e sospirò profondamente, coprendosi il viso con le mani convulse.


Le valigie erano pronte. Sorgeva l’alba. Dalla finestra aperta entrava l’aria fresca e umida del giardino.