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DUE CASE.


Q

uando penso alla campagna dove passavo gli autunni e le primavere della mia fanciullezza, mi pare che tutte le altre abbino qualche cosa di falso, di artefatto, che siano, dirò così, un po’ teatrali.

Quando penso ai tre vecchi presso ai quali vivevo allora, mi pare che i vecchi di adesso siano dei giovani andati a male e che de’ veri vecchi non se ne trovino più.

Già se in quel tempo qualcuno mi avesse interrogato sull’età dei miei tre prozii — io li chiamavo zii, naturalmente — avrei risposto che li credevo nati col mondo, o almeno con la casa, chè la differenza tra il mondo e la casa, in quanto a vecchiezza, sembrava a me di poco momento.

La possessione del marchese Giorgio Cravenna si stendeva sopra una lingua di terra sporgente nell’Adriatico, ultimo lembo di un versante alpino. Non era molto vasta e rendeva poco. Il terreno serbava la sua natura alpestre, poca terra arida frammischiata a una enorme quantità di sassi, sopra un fondo di roccia.

Un proverbio locale dice: Seminate frumento per raccogliere sassi. Oltre a ciò il flagello dei venti marini che bruciavano tutto; la scarsezza della pioggia e la frequenza della grandine.