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Quante notti di temporale passate ai piedi della Madonna dei sette dolori, facendo bruciare l’olivo benedetto, ho nelle mie memorie infantili! E quante imprecazioni contro il cielo implacabile e il mare maledetto ho sentito fin dalla culla!

Ma che piovesse o grandinasse, che i gelidi venti di tramontana, o quelli molli del sud — ai quali la squallida punta era ugualmente esposta — ci dilaniassero; o che il sole splendesse ferocemente nel cielo di un cupo azzurro; il paese era sempre bello, di una bellezza pittoresca che io bambina inconsciamente sentivo e ammiravo: bello per quel suo carattere variabile, ora aspro e selvaggio, ora dolce e esuberante; grandioso sempre, per l’ampia distesa dell'acqua, solcata da navi, barche e battelli; per l’azzurra catena dei monti lontani; per le grandi foreste di roveri intercalate da spazi erbosi e da roccie; e sempre ricco di colore nel bello come nell’orrido.

Per miglia e miglia non s’incontrava un villaggio: appena un gruppo di sei o sette casupole, con una unica bottega, nel punto più centrale della costa. Del resto, niente altro che piccole case coloniche confinate in fondo ai poderi; soltanto di tratto in tratto una casa padronale, abitata nei pochi mesi della villeggiatura. Per tutto questo popolo sparso un’unica chiesetta sorgeva solitaria all’estremità di una frazione della punta, a destra del piccolo porto. A sinistra sulla punta maggiore, dove le secche erano più pericolose per la sicurezza de’ naviganti, si drizzava la grossa torre della lanterna. E che divertimento per noi ragazzi, salire in cima al faro, penetrare nell’immenso fanale e stare a vedere come il vecchio Giacomo — un marinaio più nero