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nei pavimenti a lastre di macigno tirate a lucido come il marmo; forse nella severa bellezza del mare che penetrava tutta la parte di tramontana e ne’ suoi eterni lamenti. O le portava con sè l’urlo del vento, o le emanavano quei tre vecchi disaffezionati, che da tanti anni inutilmente lottavano contro lo sfasciamento della famiglia e la perdita dell’antica agiatezza.

Io non sapevo.

Ma uno spirito indomito di ribellione mi spingeva fuori, lontano; mi dava il coraggio di affrontare le sgridate e le punizioni che m’aspettavano al ritorno da troppo lunghe escursioni.

La mia passione era di correre alla spiaggia; una spiaggia a picco, alta sei o sette metri, che il mare minava di sotto cagionando frequenti frane.

In alcuni punti, antiche frane avevano formato dei promontori, e quindi delle insenature, nelle quali s’incavavano tortuosi viottoli che menavano sugli scogli denudati, irti, taglienti, contro ai quali quasi ogni anno qualche imprudente battello si fracassava.

Era appunto là che io non avrei dovuto andare secondo l’ordine dei superiori! Ma nè Cesare, nè Fiume, incaricati di custodirmi, nè le mie cuginette un poco più piccole di me, erano capaci di resistere alla mia volontà, quand’io li trascinavo a quelle scorribande.

Queste cose ed alcune altre mi avevano creato in tutto il parentado una fama di figliuola cattiva, perfida.

Zia Teresa, la moglie del marchese Giorgio, e sorella di zia Elena, una vedova questa di due mariti, mi perseguitava sempre perchè non avevo alcuna inclinazione religiosa. Ab-