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chesa, la portava nera coi bandò molto bassi sulla fronte; e sulla parrucca portava una cuffietta ugualmente nera con nastri pavonazzi o violetti. Quest’acconciatura stava veramente male al suo viso duro e poderoso di vecchia energica; nè meglio s’adattava al corpo da corazziere sostenuto da piedi lunghi e larghi, calzati alla moda dell’Empire.

L’altra vecchia portava una parrucca color castano chiaro con due grossi riccioli appuntati sulle tempie; sulla nuca, una grossa treccia, avvoltolata intorno ad un pettine; e niente cuffia. Anche lei era alta, diritta, imponente; anche a lei la natura aveva fatto il dono poco invidiato di due grandi piedi e di due mani larghe. Malgrado ciò e malgrado il naso superbamente greco che l’uso del tabacco aveva allungato, ella sarebbe stata ancora una bella donna, senza quell’abbominevole parrucca e i suoi cavaturaccioli.

Un altro personaggio obbligatorio del rosario era la cameriera; una creatura livida, secca, dai grandi occhi neri pieni di fiamme. Tutte e due le mie vecchie stavano in soggezione davanti a lei; ma zia Elena lasciava vedere questa soggezione, forse la esagerava per quella invincibile timidezza e sottomissione che era nel suo carattere; la marchesa invece non lasciava trasparir nulla; sempre altera, sempre nobile; dal momento che il marchese non la curava aveva l’aria di non ricordarsi neppure ch’egli era stato suo marito e che quella donna ne godeva i favori.

Questa dignità di signora, quest’orgoglio di donna, che ella non era mai riuscita a domare, dovevano essere, per Lucia, i maggiori castighi. Avrebbe avuto bisogno di litigare, di fare scandalo, di trascinare la padrona al livello di lei. Invece doveva sopportarne la schiacciante superiorità e