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pezzo di candela stearica dimenticata, accese quel lume più umano, spegnendo i quattro ceri suscitatori di incubi.

Poco dopo si coricò con la speranza di riposare e dimenticare le fastidiose impressioni.

Ma la sua speranza fu vana.

Appena in letto cominciò a voltarsi e rivoltarsi.

Quel letto enorme, quell’aria di camera disabitata, e i colpi di tosse straziante che venivano dalla casa vicina, non lo lasciavano neppure appisolare o appena appisolato lo risvegliavano.

Quella tosse era di donna che non ha speranza!

Il maestro l’ascoltava tristamente, pensando a quella esistenza desolata di donna ignota, che passava nella fantasia di lui quale un fantasma di dolore e di morte.

Come doveva essere triste di trovarsi inchiodati in un letto, coi polmoni logorati, intendendo tutto, avendo la piena coscienza del proprio stato!

Riaccese il lume.

Era inquieto, nervoso. Gli pareva di trovarsi in un monastero e di non poterne più uscire.

Sepolto vivo!....

Il mozzicone di candela era agli sgoccioli; il lucignolo languiva in fondo al candelliere, mandando fiochi bagliori.

Ponchielli chiudeva gli occhi, cacciava tutte le immagini, implorava il sonno; ma un momento dopo li riapriva in sussulto e balzava a sedere sul letto.

Ora non gli restava altra alternativa che le tenebre o le candele mortuarie.

Tutto a un tratto gli parve di non essere più solo.

Le quattro donne di Albino erano entrate nella camera coi lunghi abiti neri, i veli fitti sui visi arcigni.