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Chi sa!...

Ma la gente che mi passava daccanto dissipava subito il mio sogno.

Gruppi di donne venivano parlando dei regali, dei piatti che preparavano, degli invitati....

Dei rivenditori tornavano a casa, avendo esaurita la merce, le mani vuote, il portamonete pieno; comunicandosi i buoni colpi fatti, sparlando dei compratori difficili abilmente canzonati.

Altri cantavano a squarciagola, avendo anticipato sulle libazioni della festa.

In mezzo alla calca qualche figura corretta di gentiluomo affrettava il passo, apriva nervosamente la porta vetrata di un gioielliere, di un pasticciere, di un fioraio, di un negoziante di mode, e spariva.

Si accendeva il gaz. Più in alto, sulle nostre teste si imbiancavano i globi fantastici della luce elettrica, come tante lune staccatesi dal cielo.

Una nuova allegrezza, una nuova sontuosità, si spandevano. La folla impediva il passaggio su i marciapiedi.

Il tram di Porta Vittoria stazionava nel solito angolo della piazza, impudente di grettezza, ai piedi del colosso di marmo, dalle innumerabili guglie — il colosso che pare più superbo, più fantastico e maraviglioso, dacchè la parte moderna della piazza, borghesemente pretenziosa, stona di più col carattere trascendentale della illuminazione.

Entrai nel carrozzone, ancora completamente vuoto, rassegnato ad aspettare.

Le redini erano legate, la frusta riposava; forse i cavalli stiacciavano un sonnellino.