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Cercai con gli occhi il cocchiere. Era giù, presso ai cavalli, piantato sui suoi stivaloni, ampi, rigidi, come due cassette di legno.

Sotto al pastrano si disegnava un corpo di atleta, dalla nuca turgida, dalla testa forte; un po’ tozzo.

Una donna e un fanciullo erano arrivati presso di lui in quel momento, correndo, leggermente ansanti.

Il fanciullo si attaccò al pastrano paterno sghignazzando; allungò una manina ardita verso la pancia del cavallo.

La donna aveva tolto una calderina di latta di sotto allo scialetto, e la porgeva al marito.

— Speriamo sia calda! —

L’uomo non rispose subito tutto occupato a scoprire la calderina.

— Fuma!

Tutti e due sorrisero di compiacenza.

Il cocchiere cominciò a rimestare col cucchiaio una minestra di riso e verdura, densissima, calcata.

— Ho molta fame! — mormorò — non ho avuto tempo neppure di mangiare una mezza micca.

— Mangia presto, dunque; che non ti tocchi come l’altro giorno!

Egli scrollò il capo, e cominciò il suo desinare, in piedi, vicino ai suoi cavalli, in mezzo al rumore e al via vai della gente.

Aveva un modo singolare di empire il cucchiaio e di empirsi la bocca. Certamente doveva essere il risultato di una lunga abitudine e di uno studio particolare.

Con meravigliosa sveltezza faceva girare il cucchiaio nella calderina in modo da raccogliere la maggior quantità pos-