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batteva un piede in terra, e la suola grossissima dello stivale produceva un rumore secco, forte, come lo zoccolo del cavallo.

La donna aveva dei piccoli scatti d’inquietudine repressa.

Con la testina alzata, gli occhioni spalancati, intenti, le manine attaccate ai lembi del pastrano, il fanciullo non parlava, non si moveva; guardava il padre mangiare.

Qualche volta l’uomo chinava gli occhi sul bimbo e tentava sorridergli con le labbra intorpidite, mentre la mano esperta empiva il cucchiaio senza bisogno di essere sorvegliata.

Allora, il visottolo grasso del piccino s’illuminava di gioia, e tutto il corpicciuolo si portava in su con uno slancio di tenerezza, invocando un abbraccio; ma improvvisamente ei si ricordava, girava cautamente gli occhi verso la madre come per interrogarla e tornava tranquillo.

Il tram intanto si era quasi empito. Il conduttore stava al suo posto sulla piattaforma posteriore.

Qualcuno brontolava per la lunga sosta.

— Sempre così su questa linea! — esclamava un omone con un paniere di arancie sulle ginocchia.

— O cocchiere! Sbrighiamoci!

Il cocchiere, la donna e il fanciullo scrollavano le spalle, gli occhi fissi al fondo della strada.

Tre o quattro cucchiaiate, più colme delle altre se è possibile, furono buttate giù alla svelta.

Ora mi pareva che la grande fame dell’uomo fosse ammansata, che si affrettasse più che altro per abitudine, per terminare la sua porzione e munirsi bene contro il freddo della serata. Inghiottiva con fatica, gonfiando il collo.