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quel momento sentiva più il freddo che la fame. Provava un grande sbalordimento e mille immagini confuse si affollavano nella sua mente. Erano memorie lontane di tempi migliori: una casa agiata; dei visi cari al suo cuore; abiti eleganti e capaci di ripararla dal freddo; una tavola preparata; una allegra famigliuola seduta intorno. Altre immagini, più lontane, più vaghe: una scena sfavillante di colori e di luce, dove lei era ammirata e festeggiata, bellissima tra le belle.

Ma le quattro lettere che teneva strette in mano, sotto allo scialletto lacero e leggiero come un ragnatelo, riconducevano i suoi pensieri all’angoscioso presente. Le rileggeva dentro di sè quelle lettere scritte con tanta pena e ch’ella sapeva a memoria. La prima era per l’impresario. Quest’anno anche lui l’aveva abbandonata. Perchè le aveva rifiutato quel misero posto di figurante dell’ultima fila, che l’anno scorso le aveva impedito di morir di fame? Era brutta, secca... oh! lo sapeva benissimo! glielo dicevano per la strada, fino i monelli.... tuttavia, siccome era svelta ancora, con un po’ di rossetto, per «frega scene» le pareva di poter passare.

Alla Canobbiana la gente non ci badava tanto, e fra le coriste ce n’erano di quelle!... Epperò lo supplicava che non l’abbandonasse. Non sapeva come andare avanti a campare; se l’avessero scritturata per il ballo nuovo, avrebbero fatto un’opera di misericordia!..... Intanto la soccorresse di qualche cosa per quella sera.... Non aveva nulla, nulla!...

Si fermò. Era arrivata. Restò un momento con gli occhi fissi nella corrente luminosa che usciva dal portone. L’idea