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di mettere il suo profilo miserabile sotto la luce sfacciata la sbigottiva. Ma infine, il coraggio non le mancava. Si slanciò risoluta e presentò la sua lettera al portiere: sarebbe ritornata fra un’ora per la risposta. E scappò via senza badare al sorriso ironico del portiere. La seconda lettera era per una compagna d’arte, una vecchia amica, ora indifferente.

Non le chiedeva che un piccolo prestito. Sperava di essere scritturata e avrebbe fatto subito il suo dovere. Questo scriveva, ma in fondo non sperava di avere del denaro da quella donna, tutt’al più qualche cencio.

Per consegnare le due ultime lettere doveva recarsi sul corso di Porta Venezia e in via Monte Napoleone. Sul Corso stava una sua sorella che spesso la soccorreva, sebbene non vivesse nell’abbondanza nemmeno lei. Se Matilde fosse salita a quell’ora e avesse detto che non aveva desinato, non le sarebbe mancata una scodella di minestra e qualche altra cosa. Ma ella non osava salire quel giorno perchè sapeva di meritarsi dei rimproveri.

Al principio dell’inverno vedendola così nuda, la Rachele le aveva regalato una sottana di flanella quasi nuova e pesante, che era una grazia di Dio. Matilde aveva visto che se l’era levata di dosso in un momento di tenerezza; e: tienla almeno di conto, le aveva detto.

Ora lei non l’aveva già più. La sua miseria era più grande che non potesse dire: tanto grande che cercava sempre di nasconderla un poco. Un giorno che le era ancora balenata la speranza di una scrittura discreta, aveva impegnata quella sottana — l’unico capo buono che possedesse — per mangiare un poco, senza cercare la carità.


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