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e di sacrificio. Per comprenderlo era d’uopo studiario attentamente, non tener conto de’ suoi sarcasmi, nè de’ suoi paradossi, i quali non rivelavano che la parte più superficiale del suo carattere. Chi fosse riescito a penetrare nel suo animo vi avrebbe trovato una delicatezza squisita e l’orrore di ogni violenza. Era forse un debole? Egli si poneva talvolta questo problema: Cosa avrebbe fatto un uomo forte al suo posto? Come avrebbe agito? Rispondeva con un sorriso ironico. La risoluzione virile l’aveva presa quand’era partito per Venezia col proponimento di non ritornare. Ma poi? Cosa ne aveva ricavato? Giorni amarissimi, un disgusto profondo di tutto ed un aumento di passione. Non voleva ricominciare. Preferiva essere debole e godere quel po’ di bene che il destino gli concedeva. Non era più saggio? «La saggezza in che cosa consiste? Nei grandi gesti di superbo rifiuto, o nell’accontentamento, sia pure incompleto, di un bisogno impellente?».

Non s’accingeva a sciogliere questi problemi. Già, egli non aveva mai aspirato alla saggezza. Fin da piccino, un giorno che gli toccò di leggere la famosa favola «La cicala e la formica» e il buon maestro si sfiatava per fargli ammirare la saggia previdenza della formica, egli aveva risposto audacemente: «La formica è un insetto odioso; mi piace più la cicala.»