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scol.; def. 26) che è la tristezza per la nostra impotenza, come pure la pœnitentia che è la tristezza proveniente da un’azione nostra ed accompagnata dall’illusione della libertà (prop. 30, scol.; def. 27). Generalmente l’uomo tende a pensare di sè più bene di quel che realmente sia, come tende a pensar bene di ciò che ama: di qui la superbia (prop. 26, scol.; def. 28). Raramente invece pensa di sè meno bene di quel che deve: ma qualche volta avviene. Allora si ha l’abiectio (definizione 29). La gloria e il pudor sono varietà della superbia e dell’abiectio, in quanto provengono indirettamente dall’esterno, dalla lode e dal biasimo; la verecundia è il timore del pudor, della vergogna (prop. 30, scol.; 39, scol.; def. 30-31).

Nella superbia ha un’altra sua radice l’invidia: perchè il godimento di noi stessi e della nostra eccellenza non è possibile se non in quanto ci distinguiamo: la presenza in altri delle doti, che noi vorremmo fossero particolari a noi, ci impedisce questo piacere: onde in noi il dolore e il desiderio di diminuirlo. Perciò si invidiano solo i proprî simili e non si invidiano le qualità più che eccellenti che superano la natura comune, come non si invidia l’altezza degli alberi e la forza dei leoni (prop. 55).

La tristezza accompagnata dall’idea della nostra debolezza si dice humilitas. La gioia che nasce dalla considerazione del nostro io, philautia o acquiescentia in se ipso. E poichè questa si ripete tutte le volte che l’uomo considera la sua virtù ossia la sua potenza d’agire, accade che ciascuno smanii di narrare le sue gesta e di ostentare le sue forze del corpo e dell’animo: ciò che rende gli uomini insopportabili gli uni agli altri. E di qui segue ancora che gli uomini sono per natura invidiosi, cioè godono della debolezza dei loro simili e s’attristano del loro valore. Tutte le volte infatti che ciascuno considera le sue azioni, egli se ne rallegra; e tanto più quanto più di perfezione esse esprimono e quanto più distintamente egli può rappresentarsele. Onde ciascuno godrà tanto più del considerare se stesso quanto più potrà considerare in sè qualche cosa che nega agli