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volenza equilibrata e la serenità (acquiescentia in se ipso), che è il massimo dei piaceri cui possiamo aspirare: una passione buona è anche la gloria, la compiacenza interiore per la buona opinione che gli altri hanno di noi (prop. 51, 52, 58). Un male sono invece la vanagloria e la superbia, sebbene passioni derivanti dalla gioia, per il loro carattere parziale ed eccessivo.

La vanagloria è un compiacimento di sè nutrito dalla sola opinione del volgo: cessata la quale, cessa anche il compiacimento di sè, cioè quel sommo bene che ciascuno ama: onde avviene che chi si compiace del favore del volgo faccia ogni giorno ansiosamente tutti gli sforzi e tutte le prove per conservarselo. Perchè il volgo è vario e mutevole e quindi la fama, non sostenuta, presto svanisce: ed ancora siccome tutti cercano di captare il plauso del volgo, facilmente l’uno eclissa la fama dell’altro: onde, trattandosi di quello che è giudicato il sommo bene, nasce una cupidigia sfrenata di abbassarsi a vicenda l’un l’altro in qualunque modo: e chi infine riesce vincitore si gloria più del male fatto ad altri che del bene fatto a sè. È pertanto questa gloria o acquiescentia veramente vana, perchè non è nè gloria nè acquiescentia. (Et., IV, 58, scol.).

Ma la passione più funesta è per Spinoza la superbia che è un «de se plus justo sentire» od anche un «de reliquis minus justo sentire». Il superbo è necessariamente duro ed invidioso, specialmente contro quelli che hanno un reale valore: è benigno solo con i parasiti e gli adulatori.

Prop. 57. Il superbo ama la presenza dei parasiti e degli adulatori, odia quella dei generosi.

Un male sono invece in genere le passioni connesse con la tristezza. Male sono quindi anche la speranza e il timore, perchè oscillano fra la gioia e la tristezza e di più sono un segno di conoscenza insufficiente. Spinoza condanna anche la pietà (commiseratio): l’uomo saggio si sforzerà di essere pietoso non per sentimento, ma per ragione.