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occupa del male: il saggio evita il male soltanto indi­rettamente in quanto cerca il bene. In Dio non vi è male: quindi il male è qualche cosa che deve dissiparsi e scomparire di mano in mano che l’anima si eleva verso la sua unità con Dio. Perciò porre il timore del male come condizione del bene è invece un introdurre in noi il male come realtà positiva, un assoggettare stabilmente l’anima alla speranza, alla paura ed a tutte le passioni dolorose della vita inferiore. Questa propo­sizione è evidentemente diretta contro la religiosità volgare.

Gli uomini superstiziosi, che sanno flagellare i vizi piuttosto che insegnare le virtù e che si studiano non di condurre gli uomini con la ragione, ma di contenerli con la paura, affinchè fuggano il male, anzichè amare la virtù, non mirano che a fare degli altri degli esseri miserabili come loro: onde non è mera­viglia che siano il più delle volte molesti e odiosi agli uomini. (Et., IV).

Prop. 64. La conoscenza del male è una conoscenza inadequata.

Il male sta unicamente nella nostra conoscenza del male, cioè nella nostra conoscenza inadequata della realtà: nella conoscenza adequata, nella conoscenza di Dio e delle cose in Dio non vi è più posto per il male. Quindi finchè vi è per noi qualche cosa che non deve essere, ciò vuol dire che non abbiamo ancora una conoscenza in gran parte adequata: perchè il saggio non deve più conoscere il male. Di qui le regole che ci dà più innanzi Spinoza, di considerare nelle cose il bene, non il male.

L’uomo forte deve in primo luogo considerare che tutte le cose procedono dalla necessità della natura divina e che quindi tutto ciò che egli pensa come molesto e cattivo, anzi come empio, orrendo, ingiusto e turpe nasce da ciò che egli vede le cose in modo turbato, mutilo e confuso: eppertanto in primo luogo egli si sforzerà di vedere le cose come sono in sè, di rimuovere gli impedimenti della vera conoscenza come l’odio, l’ira, l’invidia,