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metaforica ed ambigua. Si è obbiettato che allora nello stesso senso si dovrebbe dire che gli attributi sono nella sostanza. Basta a questo riguardo tenere ben chiaro il concetto della sostanza come realtà suprema, di cui i modi sono semplici limitazioni: la sostanza è come la totalità potenziata, nella quale il modo è contenuto non come parte positiva o fattore, ma come negazione parziale e depotenziamento. Gli attributi non sono invece nella sostanza, perchè sono la sostanza: sono qualche cosa di originario e di infinito, che sebbene non adegui qualitativamente la sostanza, è però quan­titativamente, cioè nel suo genere coestensivo alla sostanza e perciò è con essa nel rapporto di identità, non nel rapporto di determinato a determinante.

Def. 6. Per Dio intendo l’essere assolutamente infinito, cioè una sostanza costituita da infiniti attributi, dei quali ciascuno esprime un’essenza eterna ed infinita.

Il concetto della sostanza svolto nella defin. 3 è qui completato nel senso che non solo deve essere l’unità degli attributi dell’estensione e del pensiero (i soli a noi noti e che sono il nostro punto di partenza), ma deve comprendere in sè tutti gli infiniti attributi pos­sibili. L’essere finito è l’essere «de nihilo participans» (Cog. met., II, 3). L’essere perfetto non deve involgere in sè nessuna negazione: deve perciò comprendere non solo quanto apprendiamo come realmente esistente, ma anche quanto pensiamo come possibile, purché non im­plichi contraddizione. In questo senso la sostanza è una sola cosa con Dio: «Deus sive substantia constans infinitis attributis» (Eth., I, 11). Quindi Dio deve comprendere in sè anche tutte le infinite forme di essere, che noi possiamo pensare solo in astratto: questo pen­siero astratto è come il presentimento degli infiniti aspetti dell’essere, che in Dio sono reali, ma che sono inaccessibili al conoscere umano.

Def. 7. Libera si dice quella cosa, che esiste per la sola necessità della sua natura ed è determinata all’agire da sè