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la ragione di tutte le cose finite in essa comprese, non fa eccezione, perchè, come causa sui, essa genera eter­namente se stessa.

Ass. 4. La conoscenza dell’effetto dipende dalla conoscenza della causa e la implica.

Ripete questa determinazione causale universale sotto l’aspetto del concipi. Se, posto il parallelismo universale dell’essere (esteso) e del pensiero, la causa non è solo, come essere, il fondamento dell’essere del­l’effetto, ma anche, come pensiero, il fondamento del pensiero per cui è pensato, della sua concepibilità, è naturale che il pensiero dell’effetto implichi il pensiero della causa, in quanto senza di esso l’effetto non po­trebbe venir pensato. Certo bisogna qui intendere il concetto di causa nel senso spinozistico, come un essere più vasto e generale, di cui l’effetto è un momento, una determinazione parziale. Questo assioma ha per Spi­noza conseguenze importanti. La conoscenza delle cose finite implica la conoscenza della loro causa, cioè di Dio: noi non abbiamo che da svolgere questa, che è già nella prima potenzialmente implicata. Ma d’altra parte anche la conoscenza della realtà finita è perfetta solo quando possediamo la conoscenza, più perfetta che sia possibile, della causa prima, cioè di Dio.

Ass. 5. Le cose che non hanno niente di comune fra sè non possono anche essere comprese l’una per mezzo dell’altra, ossia il concetto dell’una non involge il concetto dell’altra.

Qui Spinoza afferma la continuità della serie cau­sale. In nessun punto può sorgere qualche cosa di nuovo, che non sia già nella causa universale, la so­stanza. Se potesse sorgere in un punto qualche cosa avente un essere separato, questo qualche cosa non potrebbe venir implicato col resto in una concatena­zione concettuale unica, che è anche, come sappiamo, concatenazione causale. Perciò non potrebbe entrare col