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mentre vedeva il frutto; e così ciascuno passerà dall’uno al­l’altro pensiero secondo che l’abitudine avrà ordinato le im­pressioni delle cose nel corpo. Un soldato, per es., vedendo nella sabbia le tracce d’un cavallo, passerà dal pensiero del cavallo al pensiero del cavaliere, di qui al pensiero della guerra, ecc. Invece un contadino dal pensiero del cavallo pas­serà al pensiero dell’aratro, del campo, ecc.; e così ciascuno, secondo che fu abituato ad unire e concatenare in questo o quel modo le immagini delle cose, passerà da un pensiero a questo od a quell’altro. (Et., II, 18, scol.).

Siccome l’anima ci rappresenta il corpo corrispon­dente non in sè, come è nella realtà assoluta, ma solo come è nell’esperienza finita, nei suoi rapporti causali accidentali con gli altri corpi, dai quali la sua esistenza è determinata, così non si può dire che essa conosca il corpo nella sua intrinseca natura, ma soltanto nelle sue affezioni; nelle quali, come sappiamo, concorre non solo la natura del corpo che ne è il soggetto, ma anche quella dei corpi agenti su di esso (prop. 19).

2) Le prop. 20-23 ci dànno la teoria dell’idea mentis: teoria necessaria a Spinoza per spiegare la coscienza riflessa. Ogni modo ha un lato reale ed un lato ideale; ma questo, in quanto è anch’esso un che di reale, deve avere il suo lato ideale, la cogitatio della cogitatio. Vale a dire l’idea deve essere la coscienza dell’affezione corporea e di se stessa (idea mentis): l’idea mentis non è che la mens in quanto ha coscienza di sè: «mentis idea et ipsa mens una eademque est res» (prop. 20-22). Nella prop. 23 Spinoza stabilisce per la mens ciò che ha detto sopra (prop. 19) rispetto al corpo. Anche la idea mentis, in quanto è la coscienza che la mente ha di se stessa e in quanto la mente non coglie la natura del corpo se non nelle sue affezioni, non è una vera e propria coscienza che la mente abbia della sua natura, ma è soltanto la coscienza delle sue proprie affezioni.