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umani come se si trattasse di linee, di piani o di solidi. (Et., III, Introd.).

Avendo applicato l’animo mio alla politica, non ho inteso narrare alcunché di nuovo e di mirabile, ma soltanto di dimo­strare con un ragionamento preciso e sicuro e di dedurre dalla stessa condizione della natura umana quello che meglio si con­viene alla pratica: e per trattare di questa scienza con la stessa libertà d’animo, con cui ci accostiamo alle ricerche matema­tiche, mi occupai con diligenza di non deridere, di non pian­gere, di non condannare, ma solo di comprendere (non ridere, non lugere neque detestari, sed intelligere) le azioni umane: e così considerai le passioni umane come l’amore, l’odio, l’ira, l’invidia, l’orgoglio, la pietà e le altre commozioni dell’animo, non come vizi della natura umana, ma come proprietà che le appartengono, come alla natura dell’aria il freddo, il caldo, il temporale, il tuono e simili; che sebbene molesti, sono tuttavia cose necessarie ed hanno cause determinate per cui cerchiamo di comprenderne la natura; e la mente gode della loro con­templazione vera allo stesso modo che della conoscenza di quelle cose che sono grate ai sensi. (Tratt. polit., I, 4).

Questa contemplazione impassibile della realtà non esclude il riconoscimento della perfezione o dell’im­perfezione degli esseri empirici: si veda per questo l’introduzione al libro quarto. Ma questa perfezione od imperfezione nasce dalla loro limitazione: anche l’imperfezione del mondo esteriore non è che un riflesso dell’imperfezione interiore dell’essere che lo apprende. Quindi il vero progresso sta nel conoscere, nel pene­trare fino alla realtà eterna delle cose: e questo vuole appunto la considerazione che qui Spinoza istituisce. E l’espansione della perfezione non consiste in un’azione sulle cose, ma in un’illuminazione degli spiriti, in una rivelazione della razionalità eterna delle cose, che è anche la loro perfezione e la loro bontà. Pur accingendosi a considerare la realtà umana nella sua massima imperfezione, nello stato di schiavitù alle passioni, il filosofo non deve credere, dice Spinoza, che si possa e si debba ad essa sostituire un’altra realtà: e quindi