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nuita, ossia parzialmente negata, l’unità divina potrebbe contenere in sè delle negazioni. Ciò che può venir negato, diminuito, ecc., è quindi soltanto la realtà particolare del nostro essere finito, quella forma limitata e peritura, che traduce nel tempo il nostro essere eterno e la cui distruzione può essere dolorosa, ma non tocca il vero essere nostro. È solo in questo senso che le cause esterne possono distruggere una cosa (prop. 4), che vi sono cose di natura contraria che si negano e si distruggono. L’essere finito, che ha idee inadequate, considera, nella sua cecità, questa forma effimera come la sua essenza e potenza e perciò gode o soffre della sua espansione o diminuzione, come se si trattasse d’un reale passaggio ad una perfezione maggiore o minore. Ora può darsi che questo sia il caso: allora la gioia (sebbene sempre imperfetta, in quanto è passione ancora) è legittima e il dolore da fuggirsi. Ma può darsi altresì che questa nostra individualità fittizia sia diventata un ostacolo al progresso verso la perfezione: allora si ha il caso, che anche Spinoza ammette, delle gioie funeste e dei dolori salutari.

3) Tutte le altre passioni derivano da queste tre: il desiderio, la gioia, il dolore. In ciò seguono certe leggi che Spinoza inserisce man mano nella trattazione e che sarà bene raccogliere qui insieme.

A) Quante sono le specie di oggetti che agiscono su di noi, tante sono le varietà delle passioni, perchè ogni passione è l’aspetto attivo d’un’idea inadequata, la quale esprime in sè tanto la natura dell’essere nostro quanto la natura dell’oggetto che le corrisponde. La gioia che deriva dall’oggetto A esprime quindi la natura dell’oggetto A ed è diversa dalla gioia che deriva dall’oggetto B e così via. Così pure ad ogni oggetto corrisponde il suo desiderio: il desiderio con cui appetisco l’oggetto A è diverso dal desiderio con cui appetisco B, come è diversa la rispettiva gioia (prop. 56).

B) Le passioni si differenziano anche per la natura diversa del soggetto: un solo oggetto può affettare di-