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258 veronica franco

     28e, se voi del mio amor venite meno
(noi so, ma ’l credo), anch’io d’un crudel angue
soffro al cor gli aspri morsi e ’I rio veneno.
     31Cosi, quanto per me da voi si langue,
vedete ristorato con vendetta
de le mie carni e del mio infetto sangue.
     34E, se ’l mio mal vi spiace, e non diletta,
anch’io ’l vostro non bramo, e quel ch’io faccio
contra voi ’l fo da l’altrui amor costretta;
     37benché, s’oppressa inferma a morte giaccio,
coni’è ch’a voi recar io possa aita
nel martir, ch’entro grido e di fuor taccio?
     40Voi, s’a lagnarvi il vostro duol v’invita
meco, nel mio languir soverchio impietra
e rende un sasso di stupor mia vita:
     43via piú nel cor quella doglia penètra.
che raggela le lagrime nel petto,
e Puom, qual Niobe, trasfigura in pietra.
     4611 vostro duol si può chiamar diletto,
poiché parlando meco il disfogate,
del mio, ch’ai centro il cor chiude, in rispetto.
     49Io vi rispondo ancor, se mi parlate;
ma le preghiere mie supplici il vento
senza risposta ognor se l’ha portate,
     52se pur ebbi mai tanto d’ardimento,
che in voce o con inchiostro addimandassi
qualche mercede al grave mio tormento.
     55E cosí portar gli occhi umidi e bassi
convengo, e converrò per lungo spazio,
se morte al mio dolor non chiude i passi.
     58Del mio amante non dico; ché ’l mio.strazio
è ’l dolce cibo, ond’ei mentre si pasce
divien nel suo digiun manco ognor sazio.
     61E dal suo orgoglio pur sempre in me nasce
novo desio d’appagar le sue voglie,
ch’unqua non vien che riposar mi lasce;