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i - terze rime 267

XI

D’incerto autore

Mentr’ella è a Verona con un suo amante, un altro, rimasto a Venezia, si duole ch’ella tardi a ritornare, ed a ciò la sollecita.

     Invero una tu sei, Verona bella,
poi che la mia Veronica gentile
con l’unica bellezza sua t’abbella.
     4Quella, a cui non fu mai pari o simile,
d’Adria ninfa leggiadra, or col bel viso
t’apporta a mezzo ’l verno un lieto aprile;
     7anzi ti fa nel mondo un paradiso
il sol del volto, e degli occhi le stelle,
e ’l tranquillo seren del vago riso;
     10ma l’intelletto, che si chiaro dielle
il celeste Motor a sua sembianza,
unito in lei con l’altre cose belle,
     13quegli altri pregi in modo sopravanza,
che l’uman veder nostro non perviene
a mirar tal virtute in tal distanza.
     16A pena l’occhio corporal sostiene
lo splendor de la fronte, in cui mirando
abbagliato e confuso ne diviene:
     19questa la donna mia dolce girando,
l’aria fa tutta sfavillar d’intorno,
e pon le nubi e le tempeste in bando.
     22Di rose e di viole il mondo adorno
rende ’l lume del ciglio, con cui lieta
primavera perpetua fa soggiorno.
     25Oimè! qual empio influsso di pianeta,
unica di quest’occhi e vera luce,
subito mi t’asconde e mi ti vieta?