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268 veronica franco

     28Chi ’l nostro paradiso altrove adduce,
Adria, meco perciò dogliosa e trista,
ché ’n tenebre il di nostro si riduce?
     31Ogni altro oggetto, lasso me, m’attrista,
or che del vago mio splendor celeste
mi si contende la bramata vista.
     34Ben del pensier con l’egre luci e meste
scorgo Verona invidiosamente,
che de’ miei danni lieta si riveste.
     37Veggo, lasso, e rivolgo con la mente
ne l’altrui gioia e ne l’altrui diletto
via piú grave ’l mio danno espressamente.
     40Adria, per costei fosti almo ricetto
di tutto ’l ben ch’a noi dal ciel deriva,
quant’ei ne suol piú dar sommo e perfetto:
     43or di lei tosto indegnamente priva,
per questa del tuo lido antica sponda
torbido ’l mar risuona in ogni riva.
     46Ben tanto piú si fa lieta e gioconda
Verona; e di fiorito e dolce maggio,
nel maggior nostro verno e ghiaccio, abonda.
     49Quivi del mio bel sol l’amato raggio
spiega le tante sue bellezze eterne,
che d’ir al cielo insegnano il viaggio.
     52Per virtú di tal lume in lei si scerne
vestir le piante di novel colore,
e giunger forza a le radici interne.
     55L’aura soave e ’l prezioso odore,
che da le rose de la bocca spira
questa figlia di Pallade e d’Amore.
     58nutrimento vital per tutto inspira.
si ch’a quel refrigerio in un momento
tutto risorge e rinasce e respira;
     61e de la voce angelica il concento
i fiumi affrena, e i monti ad udir move,
e ’l ciel si ferma ad ascoltarla intento: