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i - terze rime 293

     136de la vostra canzone, a me mandata,
il principio vorrei mi dichiaraste,
poi che l’opera a me vien indrizzata.
     139«Verunica» e’l restante mi chiamaste,
alludendo a Veronica mio nome,
ed al vostro discorso mi biasmaste;
     142ma al mio dizzionario io non so come
«unica» alcuna cosa propriamente
in mala parte ed in biasmar si nome.
     145Forse che si direbbe impropriamente,
ma l’anfibologia non quadra in cosa
qual mostrar voi volete espressamente.
     148Quella, di cui la fama è gloriosa,
e che ’n bellezza od in valor eccelle,
senza par di gran lunga virtuosa,
     151«unica» a gran ragion vien che s’appelle;
e l’arte, a l’ironia non sottoposto,
scelto tra gli altri, un tal vocabol dielle.
     154L’unico in lode e in pregio vien esposto
da chi s’intende; e chi parla altrimenti
dal senso del parlar sen va discosto.
     157Questo non è, signor, fallo d’accenti,
quello, in che s’inveisce, nominare
col titol de le cose piú eccellenti.
     160O voi non mi voleste biasimare,
o in questo dir menzogna non sapeste.
Non parlo del dir bene e del lodare,
     163ché questo so che far non intendeste;
ma senz’esser offeso da me stato,
quel che vi corse a l’animo scriveste,
     166altrui volendo in ciò forse esser grato;
benché me non ingiuria, ma se stesso,
s’altri mi dice mal, non provocato.
     169E ’l voler oscurar il vero espresso
con le torbide macchie degli inchiostri
in buona civiltá non è permesso;