Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/327

Da Wikisource.

i - terze rime 321

     61e l’uom, dal cielo a dominar eletto
tutti gli altri animali de la terra,
dotato di ragione e d’intelletto;
     64l’uom, che, se non vuol, rado o mai non erra,
fa, nei desir d’amor dolci, a se stesso
cosi continua abominosa guerra,
     67si ch’a lui poi d’amar non è concesso,
senza trovar di repugnanti voglie
de la persona amata il core impresso.
     70In ciò contrario a le donne si voglie
piú ch’agli uomini ’l ciel; ch’amano senza
sentir quasi in Amor altro che doglie.
     73Far non può de le donne resistenza
la natura si molle ed imbecilla,
di Venere del figlio a la potenza;
     76picciol’aura conturba la tranquilla
feminil mente, e di tepido foco
l’alma semplice nostra arde e sfavilla.
     79E, quanto avem di libertá piú poco,
tanto ’l cieco desir, che ne desvia,
di penetrarne al cor ritrova loco;
     82sí che ne muor la donna, o fuor di via
esce de la comun nostra strettezza,
e per picciolo error forte travia.
     85Quanto a la libertate è manco avezza,
tanto in furia maggior l’avien che saglia,
s’Amor quei nodi violento spezza;
     88né per poco vien mai che donna assaglia
per tirar il suo amante al suo desio,
ma ciascun mezzo prova quant’ei vaglia.
     91Cosi sforzata son di far anch’io,
d’amor ne la difficile mia impresa,
per ottener il ben ch’amo e desio;
     94e, se ben fatt’a me vien grande offesa,
nullo argomento usato in espugnarti,
amante ingrato, mi rincresce o pesa.
G. Stampa e V. Franco, Rime. 21