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panca aspettando pazientemente e fumando un sigaro. Il tempo ci parve lungo. Finalmente vedemmo i nostri amici tornare col fabbro. Si fermarono sul limitare della casa.

L’uomo si tolse la giacca. Passava un policeman in quel momento e s’accostò. Il fabbro gli disse qualche parola ed egli s’allontanò pacificamente. L’operaio provò diverse chiavi. Alla terza la porta cedette. Godalming e Morris entrarono nel vestibolo.

Noi osservavamo col cuore che batteva. Aspettammo che l’uomo se n’andasse. Poi attraversammo la strada. Morris ci aperse la porta. Lord Godalming aveva già acceso una sigaretta.

— È pestifero — disse. — Lo stesso odore che nella vecchia cappella di Carfax; il Conte dev’essere passato di qui da poco tempo.

Facemmo il giro della casa. Nella sala da pranzo non trovammo che otto casse di terra invece di nove come contavamo trovare. Le aprimmo ad una ad una santificandole come quelle di Carfax.

Sul tavolo, tutte le carte concernenti l’acquisto della casa; dei fogli da lettera, delle buste, penna e inchiostro; tutto quanto avvolto in carta. C’era anche una spazzola per gli abiti, un pettine, una brocca d’acqua e un catino, quest’ultimo piena d’acqua sporca, come rossa di sangue. E poi un mazzetto di chiavi delle altre case.

— È ora di andarcene — disse Godalming a Morris.

Ambedue presero nota degli indirizzi delle altre case e muniti delle chiavi si congedarono da noi.