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Ho scritto a Mina in caratteri stenografici e avverto mister Hawkins ch’essa gli darà mie notizie. Spiego a Mina la mia situazione, attenuandone l’orrore per non spaventarla troppo. Ho lanciato agli zingari le lettere, facendo scivolare entro un’altra busta per loro una moneta d’oro. L’uomo le ha messe nella sua cintura e mi ha fatto capire che m’avrebbe obbedito. Non posso fare altro.

29 maggio.

Stamane sono stato alcune ore nella biblioteca a leggere.

Il Conte è venuto a raggiungermi; teneva in mano due lettere.

— Gli zingari mi hanno dato questo — disse con voce dolce: — non so donde vengano. (E strappò le mie lettere). To’, voi avevate scritto a Pietro Hawkins! L’altra (non potè decifrarne i caratteri ed il suo viso s’oscurò) l’altra oltraggia l’amicizia, d’altronde non è firmata, non provo nessuno scrupolo a bruciarla.

E tese la carta alla fiamma che la consumò.

— Spedirò la lettera ad Hawkins — disse. — Scusatemi, amico mio, d’averla dissuggellata, ignoravo che fosse vostra. Volete rifare la busta?

Obbedii, con la rabbia nel cuore.

Egli la portò via e udii la chiave girar nella serratura. Mi chiude dentro, è il colmo.

Rassegnato, mi stesi sul divano e m’addormentai.

Due ore dopo, il Conte venne a svegliarmi. Pareva d’eccellente umore.