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186 CAPO VIII.

ne’ loro ordinati istituti e costumi.  Nè altri, fuor che i Greci leggieri, avean potuto notare così in comune la stirpe degli Osci con macchia di effrenata disonestà e di bruttezza, come sdegnosamente lo rinfaccia loro Catone1. Bastava è vero la diversità non che del sangue, ma dell’idioma, perchè gli Elleni, sprezzatori di ogni altro popolo, apponessero alla razza osca indole e natura barbarica, specialmente in onta de’ duri suoni di sua favella; pure non senza grande levità ed ingiustizia questo innocentissimo vocabolo di opico, o sia d’osco, indi passò nella bocca medesima de’ Greci, spoglio d’ogni onesto significato, qual equivalente a lordo ed a sordido2. Non altramente i

  1. Nos quoque dictitant barbaros, et spurcius nos quam alios Opicos appellatione foedant. Cato ap. Plin. xxix. i.
  2. L’osce loqui era quanto dire loqui barbarice: ma di più la dissolutezza propria dei Campani, popolo di sangue osco, ebbe l’appellativo di Opica. Ligurire inguina si traduceva per ἕπικιζειν e nelle vecchie glosse la parola Opicus si spiega per ἀῥῥητοποιὸς. Massimamenle poi Aristide Quintiliano (ii. p. 72.), spaccia franco Opici e Lucani, d’una stessa razza, per ischiavi dei sensi, ed uomini stolidi e brutali: ἀναίσθητοι καί βοσκηματώδεις, ὡς οἵ τε περὶ Ὀπίκιαν καὶ Λευκανίαν. — È noto a tutti il verso di Giovenale, in cui descrive la suppellettile del povero Codro. I sorci son penetrati nel vecchio armadio de’ libri greci; Divini opici rodebant carmina mures. iii. 207. Che significano questi sorci oschi? Si risponde con ragione dai buoni chiosatori: indotto e barbarico, a paragone de’ canti greci. Ed il satirico si fa suo proprio interpetre, dove introduce la Romana, che è una dottoressa, a correggere il parlare rustico dell’amica: amicae opicae verba. vi. 454. Egualmente in Ausonio opicas chartas vale quanto dire scritture